Nell'antichità uno speciale tipo di rappresentazione molto diffusa era quella cosiddetta dell' asarotos oikos, ovvero della “stanza non spazzata” che Plinio, fa risalire a Sosos di Pergamo e che era destinata a decorare la sala da pranzo delle dimore patrizie. Quelle rappresentazioni riproducono con vivo realismo, quanto sembra essere appena caduto dalla tavola di un opulento pasto: lische di pesce, bucce, gusci di noce, resti di frutta, la valva di un mollusco, ossi ben scalcati, una conchiglia, qualche fiore.
Un primo immediato significato per questo tipo di rappresentazione è nella volontà di celebrare l’abbondanza del pasto e la prodigalità dell’ospite, ma una seconda più riposta interpretazione sta nelle sue valenze simboliche: essendo il tempo del banchetto un tempo di sospensione, anche gli spiriti che abitavano la casa erano chiamati a parteciparvi, secondo il principio della contiguità del convivium tra vivi e morti.
Un'altra tipologia di rappresentazioni, presenti nella cultura latina, vicine a quelle della “stanza non spazzata”, è quella che viene detta xenia, immagini di ciò che è riservato all'ospite e allo straniero. La consuetudine imponeva, infatti, che al viandante che bussasse alla porta, prima ancora che dichiarasse la propria identità, fossero offerti frutta e verdure appena colta. Gli dei, infatti, erano soliti assumere le sembianze di un viaggiatore bisognoso di ristoro.
Queste rappresentazioni sembrano essere la remota origine della natura morta e di quell'altro particolare genere di raffigurazioni detto vanitas, ovvero nature morte con intenti simbolici e di ammaestramento sulla caducità della vita.
Le vanitas, diffuse abbondantemente nel corso del XVII secolo, mettevano in scena trionfi di frutta, fiori e verdure, spesso apparecchiate con abbondanza per il pasto, come ad avvertire che non sarebbe durata a lungo la freschezza che l'arte ritraeva. Ecco, dunque, che il massimo grado della bellezza allude già alla sfioritura e alla morte e a considerare passeggero ogni piacere, ricchezza o fama su questa terra.
La ricerca di Sabrina Muzi guarda a questo patrimonio figurativo, pur utilizzando un linguaggio compiutamente contemporaneo. Alcune delle sue installazioni rimandano direttamente a un immaginario arcaico, soprattutto nell'uso di materiali naturali, caratterizzati da qualità visive, tattili e olfattive. Inoltre, come nel caso dell' asarotos oikos, si dispiegano prevalentemente sul terreno, come a significare una necessità di contatto diretto con un fondamento primo e ineliminabile. L'artista usa materiali naturali, come ossa, lische, parti di frutta e spezie, lasciando come in una vanitas contemporanea che il tempo agisca sull'opera, mettendo in rappresentazione la trasformazione e il decadimento.
La serie delle immagini proposte da Sabrina Muzi per lo spazio di Nuvole Arte si inscrivono anch'esse nella ricerca tracciata. Le pose degli autoritratti, nella serie delle immagini in mostra, rimandano, infatti, alla ritrattistica classica, sia per il taglio, sia per la postura del soggetto. Ciò che opera un sostanziale spiazzamento è, però, il modo con cui il soggetto è abbigliato. Gli abiti sono fatti di verdura, frutta, elementi vegetali commestibili, in una messa in scena che ricorda le visioni fiamminghe del XVII secolo.
L'intento della ricerca recente dell'artista è in una riflessione sul tema del prodotto vegetale, e soprattutto su quello destinato all'alimentazione.
Al tema della caducità e della trasformazione, ricorrente nella storia dell'arte, si aggiunge, dunque, quello del valore simbolico del cibo. Insalata, ravanelli, aglio, peperoncino, asparagi, radicchio, noce, rosmarino, sono indossati come se si trattasse di monili, amuleti e talismani.
Il riferimento è alla storia, sotterranea e meno ufficiale, del rapporto con ciò che non è mai inteso come semplice nutrimento, ma si carica di significati magici e taumaturgici.
In particolare, l'attenzione alla terra, si manifesta in una parte del lavoro presentato che privilegia il piano di calpestio. A terra sono disposte, infatti, forme simboliche composte utilizzando spezie a disegnare figure arcaiche che tengono vivo il legame con l'origine di ogni cibo per l'uomo, ma anche con le radici archetipiche della cultura. Le spezie offrono un'esperienza olfattiva che si aggiunge a quella visiva, mentre il simbolo rimanda al ruolo scaramantico e magico della rappresentazione, presente nella nostra cultura popolare, ma anche all'origine di ogni cultura.
Quanto è ingerito ci mette in diretto contatto con il nostro intorno, modificandoci in esso. Interno ed esterno del sé sono in costante dialogo, attraverso il veicolo del cibo, per tutta la nostra esistenza. Da ciò il potere di trasformazione del corpo, della mente e dell'anima degli agenti vegetali che sono la base della medicina tradizionale, della farmacopea e dei saperi culinari. Ma il valore magico delle sostanze vegetali non è, evidentemente, solo una lontana reminiscenza che rimanda a culture arcaiche, ma è fortemente presente nel nostro quotidiano d'oggi: dalle diete, alle mode curative, ai prodotti di bellezza.
Il lavoro recente di Sabrina Muzi, perciò, esalta il significato del corpo come soglia sulla quale l'identità, quella esemplare dell'autoritratto, incontra un contesto naturale al quale chiede di essere definita, nella consapevolezza della finitezza e della provvisorietà di tale definizione. (Domenico Maria Papa)
Sabrina Muzi
MUTATIO CORPORIS, a cura di Domenico Maria Papa
Dal 15 giugno al 31 luglio 2013
Nuvole Arte, via IV Novembre (I traversa), Montesarchio
Sabrina Muzi è nata a San Benedetto del Tronto, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Macerata, si trasferisce a Bologna dove attualmente vive e lavora. Espone in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero e partecipa a vari programmi di residenza d’artista in giro per il mondo. Nel 2007 è invitata al programma internazionale di residenze “IASK-Changdong Art Studio” del Museo d’arte Contemporanea di Seoul, e nell’autunno del 2010 a trascorrere tre mesi al “943 Studio Residency Program” a Kunming in Cina. Nel 2012 è una delle vincitrici del Premio Terna 04.
Il suo lavoro si esprime attraverso la fotografia, il disegno, il video, l’installazione, la performance.
Il corpo, il paesaggio, l’utilizzo di elementi naturali, il dialogo tra natura e storia, l’azione rituale come retaggio arcaico e culturale, la ciclicità e la metamorfosi, il mondo dei simboli, tornano spesso nel suo lavoro, nella ricerca di un coinvolgimento, non solo concettuale, ma anche empatico-emozionale.