Il primo impatto con la città non fu certo dei migliori. Nel 1928, quando l’allora trentanovenne Luigi (in sloveno, Lojze) Spazzapan – terzo di cinque figli, nato a Gradisca d’Isonzo nel 1889 da Gustav, guardia carceraria, e narezipina Mervic – arrivò a Torino su invito dell’architetto goriziano Umberto Cuzzi per partecipare al concorso per la decorazione murale del Padiglione della Chimica, alla grande “Esposizione Internazionale” allestita al Parco del Valentino, si vide infatti respingere senza troppi salamelecchi i disegni da lui presentati alla “Società Promotrice delle Belle Arti”.
Bocciato. E non solo. Allo smacco artistico (per un pittore sicuramente non alle prime armi, con mostre all’attivo, già premiato all’“Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali” a Parigi e forte di una formazione artistica compiutasi in gioventù nei massimi centri delle avanguardie europee del tempo, fra cui Vienna e Monaco), si unì anche un inghippo non da poco, come il ritiro, sempre sotto la Mole, del passaporto per motivi politici. Con l’entusiasmo presumibilmente sotto i piedi, l’artista decise, nonostante tutto (forte di quell' “estrosità” ed “umoralità” che ne segnarono l’intera esistenza) di restare a Torino. Dove inizialmente alloggiò in una soffitta in via Napione, ospite del pittore Carlo Terzolo, e dove in seguito tramite amici come Cuzzi, Chessa e Paulucci entrerà in contatto con le massime “voci critiche” del tempo, come Lionello Venturi ed Edoardo Persico. Scelta coraggiosa per lui. Una grande fortuna per la città, in cui rimase per trent’anni. Per il resto della sua vita. Fino al 1958, quando il 19 febbraio si spense improvvisamente. Di qui il titolo della grande Antologica (“Luigi Spazzapan– Ritorno a Torino”) a lui dedicata, a quasi sessant’anni dalla morte, dalla torinese “Fondazione Giorgio Amendola e Associazione Lucana Carlo Levi” di via Tollegno. Curata da Loris Dadam, la rassegna presenta un centinaio di opere, in arrivo dalle maggiori collezioni a livello nazionale, e ha il duplice scopo (oltreché di far dell’arte un elemento di “Riqualificazione delle Periferie”) “di far conoscere al più vasto pubblico l’opera dell’artista, ma soprattutto di prospettare una rivisitazione critica del ruolo di avanguardia da lui avuto in quel periodo”. Battitore libero, assolutamente autonomo nella ricerca stilistica, tanto dall’allora imperante (a Torino soprattutto) “classicismo” casoratiano quanto dal “tonalismo post-impressionista” dei Sei; attento solo agli impulsi di una gestualità all’apparenza incontrollabile e senza freni già in corsa verso lidi astratto-informali percepiti attraverso una grafia espressionista dai tratti nervosi ed essenziali, Spazzapan produce dal ’30 al ’42 una serie di “vedute” torinesi -molte presenti in mostra – di alta suggestione e lirica intensità. Ecco allora, in parete, il Valentino, le varie vedute del Po, il Canale Michelotti, le case di Barriera e piazza Castello nella nebbia o con la neve o sotto i bombardamenti. Un’autentica “dichiarazione d’amore” per la città che sentiva ormai “sua” (dove lavorò anche come illustratore alla “Gazzetta del Popolo” e come docente al “Liceo Artistico”) e luogo d’approdo felice per la sua pittura. Quella che gli faceva passare, come lui stesso raccontava a Venturi, “intere notti senza potermi fermare” in un intreccio di soggetti fra i più vari: molto piacevoli anche gli “interni”, (in cui spesso ritrae l’amata compagna Ginia), così come gli “animali” (la serie dei “Cavalli” composti con una frenesia narrativa senza limiti fra il ’32 e il ’50) e le “nature morte” (di impressionante vigore il “Vaso di calendole” del ’48). Alla fine degli anni Quaranta, inizia per l’artista friulano quel processo di “geometrizzazione” delle forme, ben evidente nella calibrata tempera su carta del ’48 “La Spagnola” (dall’intenso fondale rosso) che pure mantiene ferma la rilevanza formale del soggetto, a differenza della “Composizione geometrica n. 8” già realizzata nel ’46, dove “la consueta libertà di tratto sperimenta sempre più la sua potenziale autonomia dall’oggetto”. Per arrivare al ’55, con “Composizione Astratta n. 1”, dove il processo può dirsi concluso: “la linea ed i graficismi collegati non ci sono più, sono rimasti solo la pittura e il colore quasi allo stato primordiale in uno stile informale dove sembra prevalere la casualità del gesto”. E, in quest’ottica, si può veramente dire che la mostra ospitata alla “Fondazione Amendola” riesce a coprire in buona parte tutti i periodi creativi dell’artista: pittore anarcoide, irruente e dolce a un tempo, dalla “mano dilagante” ma attenta a “ubbidirgli sempre, anche nei momenti di massima frenesia”.
Gianni Milani
“Luigi Spazzapan – Ritorno a Torino”
Fondazione Giorgio Amendola e Associazione Lucana Carlo Levi, via Tollegno 52, Torino; tel. 011/2482970 – www.fondazioneamendola.it
Fino al 31 gennaio 2018
Orari: dal lun. al ven. 10-12/ 15,30-19, sab. 10-12,30