“Nel volgere di un mattino, de Pisis compera un pesce, lo dipinge, lo cuoce e lo mangia”: così raccontava di Filippo de Pisis il collega, assiduamente frequentato a Parigi, Mario Tozzi. Certo, una boutade. Che inquadra però alla perfezione quell’ansia del de Pisis di far quasi corsa con il tempo per colpire la tela con tratti nervosi, fulminei, quasi stenografici e“a zampa di mosca” come scrisse l’amico poeta Eugenio Montale.
Una cifra stilistica unica e inconfondibile, che ben connota molte delle 150 opere ospitate al Museo Ettore Fico di Torino e realizzate nell’arco di un trentennio da Luigi Filippo Tibertelli, in arte Filippo de Pisis (dall’avo Filippo Tibertelli de Pisis il pittore recuperò la parte decaduta del cognome), fra i più originali interpreti della pittura del Novecento italiano. Curata con tutta la passione di questo mondo (attraverso un lavoro di recupero e ricerca durato un paio d’anni), da Elisa Camesasca, Paolo Campiglio e Maddalena Tibertelli de Pisis, la rassegna non vuole solo raccontare l’esperienza pittorica del Maestro, ma tutta la complessità delle passioni artistiche e della cultura che ne caratterizzarono l’intera esistenza, come “l’inclinazione poetica, la passione antiquaria e collezionistica, il mondo musicale della lirica, l’indole del botanico naturalista e l’amore per il museo e le civiltà del passato”. Obiettivi non da poco. Sottolineati dallo stesso titolo della mostra: “Filippo de Pisis. Eclettico Connoisseur fra pittura, musica e poesia”. E perseguiti passo passo attraverso articolate “sezioni” tese ad accompagnare il visitatore attraverso gli inizi ferraresi (a Ferrara de Pisis nasce nel 1896), l’incontro fondamentale (1916) con la pittura metafisica di de Chirico, Savinio e Carrà, fino alla consolidata formazione artistica maturata a Parigi (dove si ferma per quattordici anni e dove conosce mostri sacri come Matisse e i Fauves e ancor più s’avvicina all’esemplare lezione di Manet e alla scomposta passionalità di Soutine), per concludersi tristemente – dopo viaggi per città d’arte come Roma e Londra e dopo i più lunghi soggiorni milanesi e veneziani – in una casa di cura di Brugherio, alle porte di Milano, dove l’artista si spegne il 2 aprile del 1956. Nella sezione “Avanguardie”, a colpire è soprattutto il raffinato e minimalista “Paesaggio metafisico” del ’23 accanto a una corposa “Natura morta marina” del ‘27; ma qui e in altre opere s’intrecciano anche simpatie (sempre incanalate in un linguaggio narrativo fuori d’ogni schema precostituito) con il Dadaismo di Tristan Tzara o il Futurismo di Depero. Centrali – in relazione ai fini della mostra – sono sicuramente le sezioni dedicate alla “Poesia”, alla “Natura” e alla “Musica”. Nella prima, l’amicizia intercorsa fra de Pisis pittore-poeta e Montale poeta-pittore trova concreta espressione nell’esposizione (fra chicche varie e testimonianze epistolari) di una rara edizione di “Ossi di seppia” con dedica, donata dal poeta ligure all’artista ferrarese. Accanto, “La città delle 100 meraviglie”, il libro scritto da de Pisis in omaggio alla sua amata-odiata Ferrara. Poco oltre il materico “Beccaccino” del ’32 donato da de Pisis a Montale. Di grande suggestione nel capitolo “Natura”, i fogli dell’erbario giovanile, accettato in dono, tant’era scientificamente accurato, dall’Orto Botanico di Padova mentre in “Musica” troviamo una selezione di libretti originali della tanto amata opera lirica in dialogo con celebri dipinti come “La perla. Omaggio alla Duse” del ’43 e il “Suonatore di flauto” del ’40. Il percorso espositivo prosegue poi con i tanti “Omaggi” agli autori “da Museo” suoi costanti riferimenti: dall’“Arte antica” alla “Contemporanea”, da Michelangelo, al Sodoma a Tiziano per arrivare a Scipione, a Tosi o a Casorati. Riferimenti dichiarati con orgoglio, così come esplicita appare la forte attrazione per quei plastici “nudi maschili” che troviamo nella sezione “Studio”. Inno alla più chiara genialità espressiva sono infine le opere de “L’ambiente di Parigi” e i “Paesaggi come luoghi dell’anima”: dipinti concepiti spesso fianco a fianco con quel gruppo eterogeneo degli “Italiens de Paris” in cui spiccavano, fra gli altri, i nomi di De Chirico, di Savinio, di Tozzi e di Campigli. Nel ’39, de Pisis ritorna in Italia. A Milano prima, a Venezia poi. Sul finire degli Anni ’40 i primi ricoveri, i primi segnali di una fine che lo coglierà di lì a breve a soli sessant’anni. In mostra anche i suoi ultimi quadri. La tavolozza è sempre più rarefatta ed essenziale. In “Rose bianche” del ’51 solo qualche sottile striatura di rosso e di verde incide il candore del soggetto. Sulla tela scrive anche un ironico “W Pippo”. Ultimo flebile dolcissimo canto del cigno.
Gianni Milani
“Filippo de Pisis. Eclettico connoisseur fra pittura, musica e poesia”
MEF - Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/852510 – www.museofico.it
Fino al 22 aprile
Orari: da merc. a ven. 14-19; sab. e dom. 11-19